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Icone per intenditori - I trent'anni della BMW M1
Tue Apr 01 11:45:00 CEST 2008 Comunicati Stampa
La stella era vestita di un bianco candido: quando nell'autunno del 1978 si aprirono i cancelli del 64° Salone di Parigi, gli appassionati delle auto sportive non avevano che una destinazione - lo stand della BMW Motorsport GmbH. Lì potevano ammirare un nuovo modello super ribassato ed estremamente dinamico che dimostrava chiaramente già dal primo sguardo di essere la più veloce auto sportiva stradale tedesca: la BMW M1, alta 1.140 mm, potente (277 CV) e veloce (ben oltre i 260 km/h). "Tutti sono corsi intorno alla nuova auto sportiva della BMW con motore centrale - scriveva la stampa - e l'elenco degli ordini in arrivo supera le più rosee aspettative. Per esempio, un appassionato americano di BMW ne ha già ordinati tre esemplari". Era qualcosa di impressionante, considerando che, nel 1978, la super sportiva BMW aveva un prezzo di esattamente 100.000 marchi, abbastanza per acquistare quattro BMW 323is più un paio di optional extra
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Alessandro Toffanin
BMW Group
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Autore.
Alessandro Toffanin
BMW Group
La stella era vestita di un bianco candido: quando nell'autunno del 1978 si
aprirono i cancelli del 64° Salone di Parigi, gli appassionati delle auto
sportive non avevano che una destinazione - lo stand della BMW Motorsport GmbH.
Lì potevano ammirare un nuovo modello super ribassato ed estremamente dinamico
che dimostrava chiaramente già dal primo sguardo di essere la più veloce auto
sportiva stradale tedesca: la BMW M1, alta 1.140 mm, potente (277 CV) e veloce
(ben oltre i 260 km/h). "Tutti sono corsi intorno alla nuova auto sportiva
della BMW con motore centrale - scriveva la stampa - e l'elenco degli ordini in
arrivo supera le più rosee aspettative. Per esempio, un appassionato americano
di BMW ne ha già ordinati tre esemplari". Era qualcosa di impressionante,
considerando che, nel 1978, la super sportiva BMW aveva un prezzo di
esattamente 100.000 marchi, abbastanza per acquistare quattro
BMW 323is più un paio di optional extra.
Sarebbe giusto dire che poche automobili erano attese con tanto entusiasmo ed
aspettativa come la BMW M1, che rappresentava tutto il know-how della casa di
Monaco in termini di sport motoristico. Il Progetto E 26, come veniva indicata
internamente all'azienda l'M1 che ancora non aveva un nome, era iniziato nel
1976. Doveva essere questa la prima vettura veramente eccezionale costruita
dalla BMW Motorsport GmbH, divisione sportiva della BMW fondata nel 1972.
Essendosi già creata un nome sulla scena internazionale delle competizioni con
la veloce BMW 2002 e con la fantastica BMW 3.0 CSI, la divisione sportiva ora
intendeva portare questo successo ad un livello ancora più alto con un'auto da
competizione costruita e preparata appositamente per le gare dei Gr. 4 e 5.
Secondo i regolamenti del Gr. 4 dell'epoca, per qualificarsi veniva richiesto
un numero di esemplari costruiti non inferiori a 400 unità in 24 mesi, la
vettura doveva avere due posti e somigliare esternamente alla versione di
serie. Così fu ben chiaro che l'E26 doveva essere non soltanto una vera auto da
corsa, ma anche un'auto sportiva stradale.
Un auto bavarese con sangue italiano
Il problema era che la BMW Motorsport GmbH non era in grado di sviluppare e
costruire da sola una simile vettura. Dopotutto, questa squadra di specialisti
si era concentrata fino ad allora "semplicemente" nella trasformazione di auto
di serie in auto da gara, rinforzando telai e sospensioni e potenziando i
motori. Nelle sue linee di progettazione, la nuova coupé doveva chiaramente
evidenziare lo stile italiano così speciale. Fu costruita tenendo presente un'
auto turbo con portiere ad ali di gabbiano, una concept car turbocompressa
creata nel 1972 dal progettista BMW Paul Bracq. Partendo da questo studio di
progetto con le sue linee arrotondate, Giorgio Giugiaro creò il profilo filante
dell'M1 con le sue linee e con i suoi angoli quasi taglienti. Infatti, Bracq e
Giugiaro avevano già collaborato in passato nel creare la BMW Serie 6 coupé.
La prima scelta nel reparto motori: un propulsore sei cilindri in linea
Per la scelta del motore, la BMW Motorsport GmbH si era concentrata
inizialmente su due concetti: studi avanzati di motori di Formula avevano, tra
l'altro, portato ad un dieci cilindri denominato in codice M81, un motore a V
con i suoi cilindri disposti con un angolo di 144 gradi. Modificato allo scopo,
questo motore fu anche esaminato per il possibile utilizzo in un'auto sportiva
da turismo. Ma poi l'équipe del Direttore della BMW Motorsport, Jochen
Neerpasch, optò ben presto per un nuovo sei cilindri in linea, un concetto di
motore già collaudato dalla grande esperienza che BMW aveva acquisito nelle
gare con la CSI.
Dopo congetture di ogni genere da tutte le parti, nella primavera del 1977 la
BMW svelò il segreto, confermando ufficialmente lo sviluppo della nuova auto
super sportiva. Poi, nell'autunno dello stesso anno, BMW pubblicò le prime foto
dell'M1 in versione stradale e la vettura fece quindi la sua prima apparizione
in pubblico sei mesi più tardi. Insieme al presentatore televisivo Dieter
Kürten, Jochen Neerpasch presentò con orgoglio la versione del Gr. 4 nei colori
della Motorsport GmbH nell'ambito di un programma TV sportivo di sabato in
prima serata sul Canale Due della Televisione Tedesca. E, sebbene questa
macchina da corsa con il numero undici non fosse ancora pronta per gareggiare,
le prime prove furono programmate per l'aprile del 1978.
277 cavalli in un'auto sportiva purosangue
Il gran giorno arrivò finalmente nell'autunno dello stesso anno ed il pubblico
potè ammirare la prima E26 al Salone di Parigi. Ormai la vettura portava la
designazione di modello M1, che indicava la prima auto sviluppata e costruita
dalla BMW Motorsport GmbH.
Con dimensioni di 4.360 mm di lunghezza, 1.824 mm di larghezza e 1.140 mm di
altezza, l'M1 evidenziava la sua genuina propensione sportiva. Infatti, quest'
auto sportiva a motore centrale montava un propulsore sei cilindri in linea di
3,5 litri posto longitudinalmente davanti all'assale posteriore in grado di
sviluppare una potenza massima di 277 cavalli. Denominato in codice M88, questo
motore si basava sul sei cilindri di serie unito alla testata con quattro
valvole per cilindro proveniente dai motori da gara della BMW CSI. All'interno
di questa testata, la sezione inferiore formava la camera di combustione e di
raffreddamento, mentre la metà superiore comprendeva i cuscinetti dell'albero a
camme ed i bicchierini delle valvole.
La miscela aria/benzina veniva convogliata nei cilindri attraverso tre
collettori di aspirazione a doppia farfalla dotati di sei farfalle singole da
46 mm e due collettori di aspirazione del diametro di 26 mm per ogni cilindro.
Il sistema digitale di accensione, completamente elettronico, rifletteva anch'
esso le ultime trovate in materia.
La lubrificazione mediante pompa a secco testimoniava chiaramente il DNA
sportivo dell'M1, essendo la vettura in grado di raggiungere un altissimo
livello di accelerazione laterale. Il carburante veniva fornito al motore da
due serbatoi posti ai lati davanti all'assale posteriore di 58 litri ciascuno.
La potenza veniva trasmessa dal motore attraverso un cambio ZF a cinque marce
collegato al motore per mezzo di una frizione a doppio disco a secco. Il
rapporto finale del differenziale prevedeva un bloccaggio del 40 percento.
264,7 km/h: l'auto sportiva tedesca più veloce
Il sei cilindri si dimostrava fluido e privo di vibrazioni ad ogni regime,
rimanendo docile anche alle basse velocità. Ma tutto cambiava istantaneamente
non appena la lancetta raggiungeva i 5.000 giri/min. e l'M88 continuava a
spingere l'M1 verso il regime massimo di 7.000 giri, facendo sì che anche i
collaudatori più disincantati ne decantassero le lodi: "Una volta che le
farfalle sono completamente aperte, si sente una spinta incredibile, spinta che
continua ben oltre i 200 km/h. Non c'è necessità di passare in quinta marcia,
per esempio, fino a 213 km/h e da quel momento si continua ad accelerare sempre
più fino a raggiungere la velocità massima". Velocità che, come fu riportato
dal principale periodico automobilistico tedesco nell'autunno del 1979, era di
264,7 km/h. Anche l'accelerazione da 0 a 100 km/h in 5,6 secondi sembrava molto
buona, cosa che non doveva sorprendere considerando il rapporto peso/potenza di
4,7 kg/CV, che facilitava non poco le prestazioni del motore da 204 kW (277 CV).
L'M1 fu concepita e costruita per le corse fin dall'inizio con le elaborate
sospensioni a doppi bracci oscillanti su ciascuna ruota, ammortizzatori a gas e
due barre antirollio. Con l'eccezione della risposta, più orientata al confort,
delle parti in movimento e della diversa regolazione delle molle e degli
ammortizzatori, le sospensioni ed il telaio della versione stradale erano
identici a quelle della versione da gara Gr. 4. Quattro dischi ventilati
assicuravano una forza frenante fenomenale a qualsiasi velocità e l'assale
anteriore aveva un effetto anti-beccheggio pari al 30%,, il che minimizzava i
movimenti del corpo vettura anche in caso di frenata violenta. Infine, i
pneumatici 205/50 VR 16 anteriori e 225/50 VR16 posteriori erano certamente, a
quei tempi, molto grandi ed imponenti.
Un basso centro di gravità, ad appena 460 mm dalla superficie stradale, una
carreggiata anteriore di 1.550 mm e posteriore di 1.576 mm, insieme al concetto
di motore centrale che permetteva una distribuzione dei pesi di 44,1:55,9 %,
rendevano l'M1 un'auto eccezionale nella curve, anche se la vettura richiedeva
un pilota molto esperto quando spinta al limite. Cosa tipica per un'auto
prestazionale a motore centrale con un basso livello di inerzia sul suo asse
verticale, l'M1 richiedeva un veloce e potente controsterzo non appena l'
accelerazione laterale superasse un limite ragionevole ed il retrotreno
tendesse a scappare. Ma lo sterzo a cremagliera non servo-assistito e con un
rapporto diretto di trasmissione era semplicemente perfetto per questo genere
di controllo. L'angolo d'incidenza ed un raggio di sterzata limitato servivano
allo stesso tempo ad unire la facilità di controllo con un efficace contatto
con l'asfalto assolutamente essenziali per il guidatore. Il piantone dello
sterzo di sicurezza a due giunti, a sua volta, era regolabile per adattarsi al
singolo pilota.
Un'auto da corsa con collaudati dispositivi di sicurezza passiva
Sebbene l'M1 fosse un'auto sportiva per eccellenza, sia il pilota che il
passeggero godevano di un certo livello di comodità, perché mentre le
sospensioni erano rigide, la vettura assorbiva comunque le asperità della
strada senza che gli occupanti ne risentissero troppo. Infatti, il guidatore ed
il passeggero erano ben protetti in una struttura di acciaio rivestita di
plastica rivettata ed incollata a prova di deformazione. Il bagagliaio sotto il
cofano anteriore poteva contenere il bagaglio di due persone per un weekend ed
era inoltre disponibile l'aria condizionata. La BMW M1 era un'auto sicura. Dato
che le nuove auto sportive venivano omologate per l'intera produzione di serie
(a differenza dalle omologazioni in esemplare unico), alla BMW veniva chiesto
di dimostrare la sicurezza passiva dell'M1 in una serie di crash test - una
precauzione che più tardi avrebbe portato beneficio a molti piloti da corsa.
Ma, mentre il pubblico ammirava la nuova auto sportiva di Monaco e le
ordinazioni arrivavano una dopo l'altra, la produzione dell'M1 dovette subire
un brutto contraccolpo: la Lamborghini non era in grado di assemblare la nuova
auto come previsto e si dovette passare l'incarico alla Baur, la ditta di
Stoccarda specializzata in carrozzerie. Così la produzione dell'M1 divenne una
vera sfida, con il telaio costruito dalla Marchesi e la scocca rinforzata con
fibre di vetro dalla T.I.R., entrambe nella città italiana di Modena, e con la
ItalDesign, la società di Giorgio Giugiaro, che assemblava queste due unità
basilari e aggiungeva le finiture interne e gli equipaggiamenti. Dopo di che,
la vettura veniva trasportata a Stoccarda, dove la Baur montava tutti i sistemi
ed i componenti meccanici.
Una grande attrazione in Formula 1: la Serie Procar
Di fronte a questi ritardi e alla necessità di rielaborare i programmi, la BMW
si trovò all'improvviso a corto di tempo. Dopotutto, 400 unità della nuova
vettura dovevano essere costruite entro 24 mesi per poter ottenere l'
omologazione per le competizioni Gr. 4. Quindi, per mettere in pista l'M1 al
più presto, il Direttore della Motorsport GmbH, Jochen Neerpasch, si unì a
Bernie Ecclestone e a Max Mosley per lanciare la Serie Procar che prevedeva
gare subito prima della maggior parte dei Gran Premi europei di Formula 1 nella
stagione 1979/80.
La grande differenza rispetto alla versione stradale era costituita dal motore
della versione racing della Procar: il primo passo per le gare era di mettere a
punto il classico M88 sei cilindri nel modo convenzionale, con nuovi alberi a
camme, valvole maggiorate, pistoni forgiati, condotti di aspirazione
ottimizzati, sistema a saracinesche al posto delle farfalle ed un sistema di
carico modificato che portava la potenza a 470/490 CV. Con tale potenza, la
versione Procar, che pesava appena 1.020 kg e che disponeva del rapporto di
trasmissione più lungo raggiungeva una velocità massima di circa 310 km/h.
Montava pneumatici Goodyear da corsa delle dimensioni 10,0/23,5 x 16 davanti e
12,5/25,0 x 16 al retrotreno che, insieme al grande spoiler posteriore,
servivano a fornire il giusto grip. Alla guida di una di queste BMW M1 Gr. 4,
Marc Surer girò sul Circuito del Nurburgring in appena 7'55"9.
Costruita secondo i regolamenti del Gr. 4, l'M1 non soltanto fu messa a
disposizione di cinque piloti di Formula 1 in ogni gara del Trofeo Procar, ma
fu anche venduta direttamente dalla fabbrica come prima auto pronta per le gare
della BMW Motorsport GmbH al prezzo di 150.000 marchi. Infatti, alcuni dei più
famosi team approfittarono subito di questa offerta. Schnitzer e Heidegger
portarono le M1 di loro proprietà in pista, proprio come fecero Osella in
Italia e Ron Dennis in Gran Bretagna.
Uno spettacolo eccezionale per gli spettatori: l'abilità del pilota era decisiva
Traendo beneficio da questo mix di BMW M1 preparate per le gare dalla
Motorsport GmbH e di quelle presentate dai team privati, e con la
partecipazione di grandi nomi della Formula 1 insieme a piloti ambiziosi di
altre categorie, la Serie Procar divenne molto popolare. Era qui che i migliori
piloti del mondo si battevano con i veterani e con i nuovi arrivati,
confrontando le loro abilità con automobili praticamente identiche sotto ogni
punto di vista. Il fattore cruciale, quindi, era costituito dall'abilità di
guida - e fu proprio questo che attirò l'attenzione delle folle. Infatti, le
gare Procar divennero popolari quanto le prove del Campionato del Mondo di
Formula 1 che seguivano.
La ricetta per il successo era stata perfettamente preparata. I cinque piloti
di Formula 1 più veloci nelle sessioni di prova del venerdì si schieravano
contro 15 specialisti delle auto turismo. Con le gare Procar che si correvano
il sabato, i primi cinque posti sulla griglia erano destinati alle star; gli
altri venivano assegnati ai piloti turismo secondo i loro tempi di prova. Tutti
i piloti ed i team erano felici di partecipare alla Serie Procar, purché questo
non fosse impedito da alcuni cavilli contrattuali.
"Forse ero così veloce proprio perché volevo guidare una BMW"
E' per questo che il 12 maggio 1979, il sabato prima del Gran Premio del Belgio
a Zolder, i due piloti più veloci in prova non poterono prendere posto sulle
M1: infatti, Gilles Villeneuve e Jean-Pierre Jabouille avevano contratti
esclusivi con altri costruttori. Ma Jacques Laffite, detentore del terzo tempo
più veloce nelle sessioni di prova, era felice di avviare il motore del BMW
Gran Turismo come anche Clay Regazzoni, il detentore del titolo mondiale Mario
Andretti, Niki Lauda e Nelson Piquet.
Nelson, che sarebbe diventato più tardi Campione del Mondo con la Brabham BMW e
all'epoca il numero due del team Brabham dopo Niki Lauda, non era ancora in
grado di prevedere la sua grande carriera e disse sorridendo: "Forse sono stato
così veloce proprio perché volevo guidare una BMW".
Ma anche gli avversari di Nelson portavano nomi importanti ed una grande
reputazione: Hans-Joachim Stuck, che si sarebbe piazzato ottavo il giorno dopo
nel Gran Premio di Formula 1 per il team tedesco ATS, l'allora detentore del
titolo europeo di Formula 2 Bruno Giacomelli, i piloti BMW Motorsport Toine
Hezemans e Dieter Quester, nonché Elio de Angelis, un'altra star della Formula
1. Quando i semafori diventarono verdi davanti allo schieramento di piloti
Procar, Hans-Joachim Stuck ed il giovane pilota austriaco Markus Höttinger
scattarono, lasciando alle spalle il resto del plotone dopo alcuni giri. Ma
nella dodicesima tornata, i due si avvicinarono un po' troppo, finendo contro
le barriere. Quindi, per citare un servizio sulla gara che riassumeva i venti
giri: "il pilota italiano Elio de Angelis si è dimostrato il superman nella
prima gara con le M1, non soltanto vincendola, ma facendo anche registrare il
giro più veloce. E questo dopo essere partito dal 15° posto, rimontando fino al
primo posto". Secondo arrivò Toine Hezemans e terzo Clay Regazzoni.
I campioni Procar: Niki Lauda e Nelson Piquet
Alla fine, però, i risultati iniziali cominciarono a cambiare nel corso della
stagione Procar. Niki Lauda, già allora due volte Campione del Mondo di Formula
1, conseguì il maggior numero di punti alla fine della stagione. In otto gare
della serie M1 Procar, Niki ottenne tre vittorie e un secondo posto. Quindi,
anche se Hans-Joachim Stuck fu in grado di conseguire la vittoria nelle ultime
due gare, terminò la stagione con cinque punti di distacco da Lauda. Soltanto
Clay Regazzoni mantenne il terzo posto fino alla fine della stagione.
Dopo aver vinto le ultime tre gare nel 1980, l'anno successivo Nelson Piquet
conseguì il titolo Procar, seguito da Alan Jones e Hans-Joachim Stuck. Forse
non era una coincidenza, dal momento che Alan Jones, più tardi Campione del
Mondo di Formula 1, era un fan sfegatato dell'M1 e divenne uno dei primi
clienti ad entrare in possesso di quest'auto sportiva per uso privato.
Questi eventi spettacolari segnarono più o meno la fine dell'M1 nelle gare di
Gr. 4 per una semplice ragione: l'M1 era omologata per gareggiare soltanto dal
1° aprile 1981 ed i regolamenti furono cambiati nove mesi più tardi, rendendo
pressoché impossibile per l'M1 ogni ulteriore partecipazione alle competizioni.
La potenza viene portata fino a 1.000 cavalli:
l'M1 Gr. 5 con un motore biturbo
Neanche il successo dell'M1 nel Gr. 5 fu in grado di eguagliare l'enorme
impatto della Serie Procar. Il Gr. 5 comprendeva automobili di produzione
speciali derivate da vetture omologate in altre categorie - e questa infatti fu
l'unica restrizione. Le prime M1 ad entrare nel Gr. 5 montavano motori aspirati
che sviluppavano una potenza massima di quasi 500 CV. Per poter gestire una
coppia massima di 800 Nm, queste auto venivano dotate di un cambio Hewland FG
400 a cinque rapporti, con il bloccaggio del differenziale nel rapporto finale
che andava dal 75 al 100%, a seconda del tracciato. In seguito, i motori delle
M1 del Gr. 5 furono portati a 1.000 cavalli grazie a due turbocompressori. E
per trasmettere la massima potenza possibile sulla strada, la carrozzeria della
vettura fu modificata con ogni genere di spoiler, rendendo così l'M1 un vero
mostro alato. Fu allora che il Team Schnitzer, il principale specialista nella
preparazione di BMW, trasformò un'M1 Gr. 5 in quella che fu la più potente auto
sportiva del Campionato Turismo, utilizzando una carrozzeria di kevlar su un
telaio appositamente rinforzato. Con questo genere di potenza, Hans-Joachim
Stuck arrivò primo sia al Nürburgring che al Salzburgring.
Campione IMSA GTO negli USA: la BMW M1
Il 1981 fu un anno di spettacolari successi per l'M1 negli Stati Uniti.
Qualsiasi pilota che all'epoca voleva giocare un ruolo importante nel popolare
Campionato IMSA GTO non doveva far altro che guidare una coupé con motore
centrale della BMW. Dopo aver creato il Red Lobster Team, Dave Cowart e Kenper
Miller finirono la stagione al primo e al secondo posto, entrambi,
naturalmente, al volante di una BMW M1. Infatti, l'M1 bianca con il numero 25
vinse dodici delle sedici gare del Campionato. Soltanto un pilota tra i top ten
nel Campionato 1981 guidò un'altra vettura. E, guarda caso, il pilota che finì
settimo era la leggenda dell'automobilismo americano Al Unser Jr. -
naturalmente alla guida di un'M1.
Presentare l'arte su quattro ruote: l'Art Car M1 alla 24 Ore di Le Mans
L'M1 non era soltanto un'avanzatissima auto sportiva da corsa, ma anche un'
eccezionale opera d'arte. Nel 1979, il famoso idolo della pop art Andy Warhol
provò di persona a realizzare un'opera d'arte su un'M1 coupé pronta per le
gare, utilizzando i suoi attrezzi, pennelli e colori, per far diventare l'M1
una delle più veloci opere d'arte del mondo.
Questa era la quarta Art Car della BMW, in una serie di opere artistiche basata
su vari modelli BMW. Warhol fu il primo artista a dipingere direttamente la
carrozzeria della macchina con veloci pennellate. "Ma la vettura in se stessa è
migliore dell'opera d'arte", commentò Warhol in seguito.
Con il numero 76, la BMW M1 Art Car si battè per il titolo a Le Mans per tutte
e 24 le ore, terminando in sesta posizione.
Trapiantare il sei cilindri dell'M1 in auto di serie:
l'M5 e l'M 635 CSi
La produzione dell'M1 terminò nel 1981 dopo la realizzazione di 445 unità, 399
stradali e 46 in allestimento Procar. Ma il cuore dell'M1, il sei cilindri M88
24 valvole, era lontano dal pensionamento. In particolare, era troppo potente e
superiore, capace di una grande progressione. Così, nel 1984 la Motorsport GmbH
diventò ancora una volta argomento da prima pagina, facendo sì che gli
appassionati di auto ad elevate prestazioni si sentissero di nuovo esaltati
quando la M 635 CSi coupé e l'M5 da 255 km/h riesumarono il propulsore ad
elevati regimi di rotazione dell'M1.
In particolare, l'M5 costruita a mano divenne subito una vera leggenda: era
davvero un lupo vestito da pecorella, con una potenza massima di 286 cavalli,
quasi tre volte quella della 518i. E, mentre a prima vista sembrava quasi
uguale alla versione di serie, la velocità massima di 245 km/h catturò subito l'
attenzione e l'ammirazione di innumerevoli proprietari di grandi berline e
macchine sportive che, anche con l'acceleratore al massimo, dovevano lasciare
strada all'M5 sulle autostrade. Non sorprende quindi che tutto ciò abbia
segnato la nascita del "Businessman's Express", "la berlina sportiva".